Parliamo di SLA, oltre l’#IceBucketChallenge

Parliamo di SLA, oltre l’ #IceBucketChallenge

A cura della

Dott.ssa Maria Cristina Zezza

                                  SLA

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una diffusione virale di persone, famose e non, alle prese con la doccia gelata in nome di una campagna di sensibilizzazione nei confronti della Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Sebbene da un lato tale campagna abbia finalmente e realmente portato a parlare di questa difficile malattia e abbia sensibilizzato positivamente alla raccolta fondi per la ricerca (raccolti 800.000 euro) , dall’altro la sua viralità rischia di portare ad una banalizzazione e ridicolizzazione di tutto ciò che comporta tale malattia (con tanto di video da ridere su diversi ice bucket challenge finiti male).

E’ senza dubbio ammirevole l’intento della sensibilizzazione, tuttavia informandomi sul perchè sia stata usata la “doccia gelata” come mezzo per raggiungere tale scopo sono rimasta leggermente perplessa. Nelle spiegazioni riportate dai diffusori di questa moda viene riportato: “vuoi sentire cosa prova un malato di SLA?”.

Ecco quello che prova e passa un malato di SLA e la sua famiglia va ben oltre la doccia gelata.

Facciamo un pò di chiarezza:

La Sclerosi Laterale Amiotrofica che cos’è?

“La SLA è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. La morte di queste cellule avviene gradualmente nel corso di mesi o anche anni.

I primi segni della malattia compaiono quando la perdita progressiva dei motoneuroni supera la capacità di compenso dei motoneuroni superstiti fino ad arrivare ad una progressiva paralisi, ma con risparmio delle funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali (vescicali ed intestinali).

Ha una caratteristica che la rende particolarmente drammatica : pur bloccando progressivamente tutti i muscoli, non toglie la capacità di pensare e la volontà di rapportarsi agli altri. La mente resta vigile ma prigioniera in un corpo che diventa via via immobile. Al momento non esiste una terapia capace di guarire la SLA: l’unico farmaco approvato è il Riluzolo, la cui assunzione può solo rallentare la progressione della malattia. ” (http://www.aisla.it/)

Già a partire dalla definizione medica di quello che è la SLA può essere facilmente intuibile l’enorme drammaticità di tale malattia e i risvolti psicologici che questa ha sia sul paziente che sulla famiglia.

Ricevere una diagnosi di SLA può essere senza dubbio ritenuto un evento di vita truamatico con cui l’individuo si trova a doversi confrontare. Questa malattia, infatti, pone la persona di fronte a due grandi problematiche esistenziali: la progressiva disabilità, l’inguaribilità e successivamente il tema della morte.

“L’impatto emotivo della malattia e l’attivazione di strategie per far fronte alla situazione sono resi ancor più difficili nel caso in cui la malattia non lasci la possibilità di guarigione o, comunque, di un recupero parziale dello stato precedente alla malattia. Il processo di adattamento in questi pazienti risulta, quindi fortemente caratterizzato dalla terminalità che la SLA porta con sé fin dall’inizio, elemento a cui il paziente è costretto a far fronte in condizioni psicofisiche sempre più compromesse. All’elaborazione del trauma relativo all’impossibilità di guarigione si aggiunge infatti quello della avanzante disabilità che “presentifica” giorno dopo giorno il fine-vita e che riduce gli spazi di autonomia del soggetto e che impedisce, oltre che il movimento, anche la comunicazione. È come se il paziente fosse sottoposto ad una sorta di full immersion nelle esperienze della disabilità, della incomunicabilità, sofferenza e della morte“.

La qualità di vita e il beenssere psicologico di questi pazienti risultano quindi fortemente compromessi, nonostante ad oggi vi siano diversi tentivi da parte della tecnologia di cercare di migliorare, per quanto possibile, tale qualità, con ausili, lettori ottici ecc.

 

La Sclerosi Laterale Amiotrofica, come qualsiasi altra malattia, è un evento che colpisce non soltanto chi ne è coinvolto in prima persona ma tutto il sistema familiare che si trova a dover fronteggiare il disagio personale, relazionale e organizzativo che ne deriva. La malattia impone all’intera famiglia una riorganizzazione e un riadattamento a seguito del cambiamento radicale della quatodianeità e della ridistribuzione dei ruoli per assolvere le funzioni del paziente non più sostenibili; spesso all’interno della famiglia principalmente una persona assolve la funzione di prendersi cura totalmente del paziente: il caregiver, solitamente identificato nel coniuge (o nel partner) o, nel caso di persone anziane, nel figlio. Ai caregiver viene richiesto, accanto all’ingente impegno fisico per supplire alle abilità che il paziente progressivamente perde, anche di far fronte all’ impatto emotivo su di sé e sul proprio caro della malattia, al processo di adattamento ad essa e di riorganizzazione della propria vita in funzione dell’assistenza da prestare al paziente. Alla elaborazione delle tematiche della perdita e del fine-vita comuni a quelle del paziente, si aggiungono quelle della riorganizzazione della propria quotidianità, e dell’aumento ingente del carico di lavoro che i compiti assistenziali comportano, così come quelle del senso di colpa nel momento in cui si lascia il paziente da solo e del distress psicologico dovuto al desiderio di poter fare di più per il proprio caro e alla frustrazione e al senso di impotenza di fronte ai propri limiti.

La SLA quindi può essere definita una malattia sistemica, nel senso che coinvolge l’intero sistema familiare, portando con sè difficoltà, paure, angosce e sofferenza.

Vorrei concludere riportando le parole di Thomas Pistoia, malato di SLA:

Un giorno… stavo lì a farmi un caffè; feci per chiudere la moka, feci per chiuderla… Avvicinavo i due pezzi, giravo e rigiravo, non capivo, sembravano respingersi, come poli opposti su di un chiassoso stridio di lamiera…                                                                       Poi le mie mani mollarono, e venne giù tutto; e ancora non sapevo che anche io mi sarei sparso così, come quel mucchietto di polvere marrone disegnato sul pavimento.

Oggi ho di fronte sempre lo stesso soffitto, e misuro, ogni secondo che passa, quanto sia infinitamente distante il mio essere umano da quella superficie bianca che da mesi ormai mi sovrasta […] Io sono fermo.
Io sono muto.
….
Sono in attesa perenne, impotente, farfuglio aria da un tubo in trachea, eppure son vivo.

Perchè le altre malattie se ti uccidono, ti lasciano uomo. Questa no.
Qui sei morto, sepolto, prima ancora di andare.
Ecco, mia moglie mi parla, mi tocca, sorride, mi ama. E io qui è come se non ci fossi, è come se fossi detenuto di me stesso, prigioniero dentro il mio corpo, chiuso in un barattolo di carne umana.
I miei occhi sono il vetro trasparente attraverso il quale guardo fuori…
i miei occhi sono la mia voce gettata al di là delle sbarre, verso il mare, oltre gli scogli.
Io amo in un battito di ciglia, come l’albero che canta di foglie al passare del vento. Il mio più lungo discorso è un agitarsi di palpebre nel vuoto, un alfabeto morse ridicolo, captato solo da chi mi ama.
Io parlo così. Oppure con la voce sintetica di un computer.
Ma non è solo questo. A volte, di notte, mentre dormo, sogno di correre a lungo, senza motivo, senza una meta, come spesso fanno i bambini. Sogno di andare.
Da sveglio, immaginatemi dentro.
Mi penetra, mi percorre un’energia infinita e bestiale che ruota, risbatte, si tuffa e risale. E mai, mai, trova un’uscita. A tratti s’acquieta. Allora mi sorprendo a godere di un raggio di sole che mi raggiunge dalla finestra, o di una canzone che passa dai muri e rigira qui intorno.
Poi tutto riprende e resto schiacciato da una mano invisibile che preme il mio corpo in un supino supplizio.
Sclerosi Laterale Amiotrofica… che caxxo significa… cambiatele nome, datele un senso !
Un cadavere vivo nel mondo, ecco cosa sono; una statua vivente che spera nel tempo o in un gesto pietoso.

Mia moglie ogni tanto passa di qua.                                                                                         Ho imparato da poco                                                                                                               a dirle ti amo con gli occhi” 

Thomas Pistoia, malato di SLA.

Ciò che mi auguro è che l’interesse per questa difficile malattia rimanga concreto e reale e non solamente virale.


FONTI;

www.aisla.it

ornella granatiero. Sclerosi Laterale Amiotrofica, cambiamento di vita e rappresentazione dell’assistenza:uno studio quali-quantitativo su pazienti e caregiver. 2009

www.viaoberdean.it/sla