Aiuto, sono un perfezionista!

AIUTO, SONO UN PERFEZIONISTA!

A cura della

Dott.ssa Maria Cristina Zezza

perfezionista

Perfezionismo, pregio o difetto?

Chi legge il titolo di quest articolo potrebbe pensare “che male c’è se voglio fare le cose precise?”.

Effettivamente la risposta è “nessuno”. Non c’è nessun problema nel voler fare le cose per bene, tendere a migliorarsi sempre di più , essere precisi ed organizzati. Anzi tutto ciò è davvero meritevole e tutti noi dovremmo cercare di mettere del nostro meglio in ciò che facciamo. Il “problema” nasce quando questi tratti vengono estremizzati e da un perfezionismo adattivo e funzionale si passa ad un perfezionismo patologico.

Il perfezionismo diventa patologico quando le richieste che poniamo a noi stessi e agli altri sono troppo elevate, le soddisfazioni quasi inesistenti (in quanto si potrebbe fare sempre di più), e la dose di ansia e stress molto più alta.

La definizione di perfezionismo come la “tendenza a considerare inaccettabile qualsiasi imperfezione “ può darci già un idea di quelle che possano essere le conseguenze psicologiche del “non potersi permettere di fallire“:

  • elevato stress al lavoro e a scuola

  • oscillazioni dell’umore, come depressione ed ansia

  • solitudine e difficoltà a formare relazioni strette

  • eccessiva frustrazione, rabbia e conflitti nelle relazioni personali

  • difficoltà nell’apprendere da critiche, fallimenti ed errori

  • procastinare

  • evitare situazioni che possano metterci in difficoltà

L’avere degli standard troppo elevati sia nei confronti di se che degli altri comporta un’insoddisfazione costante per i propri risultati; quando si sbaglia o si fallisce un obiettivo, si diventa autocritici e ci si sente un fallimento come essere umano con conseguente calo dell’autostima.

Infine, si pensa di dover sempre avere il controllo sulle emozioni in quanto queste potrebbero interferire con l’obiettivo da raggiungere con una conseguente pressione emotiva fortissima.

Il perfezionista, quindi, difficilmente trae gratificazione dagli obiettivi raggiunti e spesso si trova a procastinare o ad evitare attività ed impegni in quanto la paura di fallire si potrebbe fare troppo forte.

Un altro pensiero molto comune del perfezionista è “se non è perfetto non va bene!“. Immaginate quali siano le conseguenze di tale pensiero? Un impiego di tempo ed energie fortemente maggiore per una cura ossessiva dei dettagli, la difficoltà di iniziare o terminare compiti o impegni fino a quando non siano perfetti (impossibile dati gli standard del perfezionista!) e una diffusa insoddisfazione. Anche da un punto di vista relazionale questo atteggiamento può creare diversi problemi nella coppia data la rigidità e le pretese del perfezionista.

In realtà alla base di questo comportamento c’è una profonda insicurezza. Il perfezionista, infatti, ha la convinzione che si debba far colpo sugli altri tramite la propria intelligenza e i risultati e che questo è l’unico modo per guadagnare la loro approvazione. Solo se si è perfetti, si può essere amati.

DA DOVE ORIGINA IL PERFEZIONISMO?

Hamacheck (1978) ha rilevato che l’eccessiva preoccupazione di compiere errori e la paura del giudizio negativo degli altri derivano da esperienze nell’infanzia; l’amore manifestato dai genitori è condizionato alla performance del bambino e le approvazioni sono inconsistenti (se fai e sei bravo ti vorrò bene); il bambino non si sente mai soddisfatto perché il suo comportamento non è mai abbastanza corretto per guadagnare l’approvazione dei genitori e attua uno sforzo continuo per ottenerla. Burns (1980) sostiene che genitori perfezionisti utilizzano il ritiro dell’affetto e la disapprovazione come punizione e che i loro bambini tendono a rispondere agli errori con ansia e paura, introiettando l’idea che gli errori debbano essere assolutamente evitati.

COSA FARE?

In primo luogo, come dico spesso, è necessario avere una maggiore consapevolezza dei propri tratti perfezionistici, portando all’attenzione il problema del perfezionismo e individuando gli ambiti della vita quotidiana in cui si hanno standard eccessivamente elevati (risultati scolastici, apparenza fisica,lavoro).
In secondo luogo, può essere utile esplorare come il perfezionismo influenzi l’opinione di sé stessi (ricordiamo la bassa autostima e scarsa soddisfazione), le relazioni e le situazioni al lavoro ed a scuola. Infine, è importante provare ad focalizzare i fattori, individuali e sociali, presenti o passati, che possono aver influito sullo sviluppo e sul mantenimento di tendenze perfezionistiche, riflettendo dunque sia sul ruolo di una società che da’ molta importanza al controllo sia su come i genitori reagiscono a successi e fallimenti del figlio.

Si può inoltre fare un’analisi dei costi e dei benefici, cioè individuare alcune delle credenze disfunzionali alla base delle tendenze perfezionistiche (es. “Io devo cercare di essere sempre perfetto”; “Le persone penseranno peggio di me se compirò un errore”) e di esse elencare in due diverse colonne i vantaggi e gli svantaggi nel mantenerle. Si può iniziare con un esercizio su una situazione specifica in cui, prima di tutto, si deve descrivere una situazione nella quale il perfezionismo ha costituito un problema (a causa delle connesse auto-critiche) e di questa situazione si devono individuare i pensieri automatici, il grado di convinzione in essi, le emozioni, l’intensità di esse e il tipo di distorsioni cognitive utilizzate. I pensieri automatici negativi vanno poi sostituiti con pensieri automatici positivi.

Infine, si possono provare anche alcuni esercizi comportamentali. Uno di essi potrebbe essere quello di individuare le attività che ci si sente obbligati a svolgere in modo quasi compulsivo e pianificare dei cambiamenti in cui, gradualmente, si diminuisce la quantità di tempo dedicato ad esse. Un altro esercizio è quello della “sfida al perfezionismo” che consiste nel mettere in atto comportamenti che vanno nella direzione opposta a quella abituale (es.: gettare deliberatamente i vestiti nei cassetti in modo disordinato, non rifare volutamente il letto, studiare volutamente di meno). Questo permetterà di ridurre gradualmente il bisogno di perfezione e il disagio nell’essere o nel fare qualcosa di imperfetto.

Infine, qualora il perfezionismo infici di molto la qualità di vita è consigliabile rivolgersi ad uno specialista, psicologo psicoterapeuta, che possa aiutarci a lavorare su noi stessi e a riscoprire la bellezza di una vita con più leggerezza e gratificazione.