Quando il gruppo diventa branco. Il fenomeno “Ultrà”

 

QUANDO IL GRUPPO DIVENTA BRANCO

FENOMENO “ULTRA’ ”

A cura della

Dott.ssa Maria Cristina Zezza

ultra

I recenti avvenimenti calcistici con episodi di risse e sparatorie tra tifosi hanno lasciato basite moltissime persone. Familiari e amici delle persone coinvolte in risse e tafferugli spesso rimangono sorpresi: “Ma come? Mio figlio è tanto un bravo ragazzo! Non può essere!” oppure “Ma come è possibile che sia successo tutto questo solo per una partita?”

Come mai bravi ragazzi , o ragazzi incensurati, si trovano coinvolti in questi episodi e come è possibile che tali violenze si verifichino cosi frequentemente nei nostri stadi?

Una risposta può venire dalla Psicologia Sociale dei gruppi, quando l’identità del singolo si fonda all’identità collettiva.

La psicologia sociale ci insegna come la nostra identità si sviluppa a partire dal sentimento di appartenenza a un gruppo. Il “sentirsi parte di ” è ciò che contraddistingue un gruppo, lo rende importante. Sentendoci parte di qualcosa e accomunati con altri rafforziamo la nostra autostima, la nostra identità, ci sentiamo influenti importanti e considerati. La dimensione di gruppo, infatti, soddisfa molti bisogni dell’essere umano: sicurezza e sostegno sociale, dipendenza o dominanza, accrescimento dell’autostima e riduzione dell’incertezza. La nostra identità è quindi, in larga parte funzione della nostre appartenenze ai vari gruppi sociali. Gli esseri umani hanno una propensione a base innata a raggruppare le persone in categorie sociali sulla base di specifiche dimensioni quali, sesso, razza, etnia, età, professione, religione (processo di categorizzazione). Pertanto il self (il “me”) è costituito dal miscuglio di identità sociali ai quali ciascuno appartiene. In particolare ognuno di noi si categorizza secondo due tipi di gruppi: primari (sono il fidanzato di…, faccio parte della famiglia…, sono il figlio di…) e secondari (sono italiano, sono uno studente, sono cattolico). I processi cognitivi di categorizzazione sociale e di autocategorizzazione, inducono ad esagerare al massimo la similarità all’interno dei gruppi (noi la pensiamo allo stesso modo, noi condividiamo), e esagerare la differenza tra gruppi (loro sono diversi da noi) ,gettando le basi per la nascita di stereotipi. Il gruppo esterno ci appare costituito da individui pressappoco tutti uguali, meno interessanti e ai quali attribuiamo caratteristiche negative (questo ci serve per sottolineare che il nostro gruppo è migliore e per promuovere una maggiore coesione verso un nemico comune). È’ sufficiente quindi, che per un qualsiasi processo di categorizzazione si formi l’ingroup (il mio gruppo) e l’outgroup (tutto ciò che è fuori e che può essere minaccioso) che questo comporti dinamiche di coesione e condivisione verso i membri del proprio gruppo e discriminazione e aggressività nei confronti di un altro gruppo.

Ma qual’è l’effetto collaterale di questa categorizzazione tra noi e loro?

L’effetto collaterale e degenerato più importante è la formazione di stereotipi e pregiudizi verso tutto ciò che non è noi. Gli stereotipi sono rappresentazioni mentali che fanno sì che una persona venga giudicata per la sua appartenenza ad un gruppo e non per quello che è in quanto individuo. Tali rappresentazioni implicano un processo di discriminazione che si articola in comportamenti contro il gruppo verso il quale si nutre pregiudizio e discriminazione a favore del proprio gruppo. Vi è quindi una spinta all’egocentrismo che fa percepire i valori del proprio gruppo di appartenenza come i più validi e condivisibili da difendere contro ipotetici nemici.

Diverse sono inoltre le dinamiche che si scatenano quando un individuo fa parte del gruppo: si verifica una “diffusione” di responsabilità, ossia se una cosa viene fatta assieme al gruppo e per difendere l’identità del gruppo allora la responsabilità è di tutti e di nessuno e qualsiasi gesto è giustificato; si mettono in atto gesti eclatanti per ottenere consenso dal gruppo e per sentire confermata la propria appartenenza e, per ottenere tale consenso, spesso si mette a tacere la propria coscienza; una ulteriore caratteristica dei gruppi è la condivisione di obiettivi, valori e credenze. Tali valori, quando un individuo è carente di una personalità propria,strutturata o forte di valori e interessi propri, diventano amplificati diventando quasi una questione di vita o di morte da difendere e far rispettare.

I sentimenti di “far parte di…” , di aggregazione, di coesione e di cooperazione sono molto forti tra i membri di un gruppo ultra o tra i membri della “curva nord” o della “curva sud” a scapito di qualsiasi membro della tifoseria opposta. Difendere la propria squadra diventa quindi un valore assoluto, al di là della partita ,del risultato o della passione calcistica.

I membri della squadra opposta diventano tutti uguali, tutti stereotipati, si fa di essi di tutta un erba un fascio, diventano nemici comuni contro i quali sfogare la propria aggressività repressa e la frustrazione per le problematiche della vita quotidiana contro le quali non si ha con chi prendersela,senza in realtà aver motivi per avercela con il singolo tifoso dell’altra squadra.

Il tifoso dell’altra squadra può anche essere un  amico, ma se lo si incontra allo stadio in cui “è il mio gruppo contro il tuo gruppo” improvvisamente si può trasformare nel tuo peggior nemico.